IL GALLERISTA

“Tutti vogliono essere noi” diceva Meryl Streep ne Il Diavolo veste Prada. Lì era il mondo della moda – lustrini, top model e milioni – ma in molti pensano la stessa cosa anche di chi lavora nel favoloso mondo del contemporaneo. Gridolini d’estasi misti a sguardi pieni d’invidia spesso vengono rivolti all’unisono nei confronti di chi si presenta gallerista, come se fosse un mestiere tutto pose – di Canova, di Pistoletto – e fiori – del Seicento fiammingo, dello psichedelico Murakami.

Come nell’installazione-performance di Fabio Viale – che davvero ha galleggiato sul Po prima di approdare qui al Centro Arti Plastiche – anche un gallerista deve tenere la barca pari a fine mese. Venderà arte, venderà il bello, ma una galleria ha business e spese vive come una qualsiasi attività commerciale.

Per una navigazione sicura, specie oggi in un mare saturo di proposte e ancora agitato dai marosi della grande crisi, diventa essenziale sia avere un’àncora sicura che poggia su maestri storicizzati (gli autori che si vendono magari ‘tenuti in cantina’ – pardon in magazzino o nel caveau – a invecchiare come fossero buon vino) che uno sguardo attento ed informato sui talenti emergenti.

Per essere galleristi non è sufficiente la più innata delle passioni per l’arte: come un capitano di vascello, il gallerista deve ingaggiare la miglior ciurma (scegliere artisti che abbiano una buona riuscita nel mercato), nutrirla affinché il viaggio proceda spedito e sicuro (il gallerista paga i suoi artisti al che pensino solo a creare) e condurre con vento favorevole la nave in porto (il fatidico bilancio di fine anno).

Ah Galla di Fabio Viale, 2008

Fabio Viale “Ah Galla II”, 2008, marmo